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Si sente parlare molto dello schwa nell’ultimo periodo, ma di cosa si tratta e perché viene adottata?

Lo schwa è il simbolo “Ə” (“ə” nella variante minuscola). Nel sistema fonetico identifica una vocale intermedia, il cui suono si pone esattamente a metà strada fra le vocali esistenti. Si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della bocca, lasciandola leggermente aperta, con la lingua abbassata. Qui potete ascoltarne la riproduzione sonora: link

Ə / ə

 

È la soluzione più di successo tra tutte quelle pensate per rendere la lingua italiana più inclusiva. Viene adottata con lo scopo di rendere i termini che usiamo per comunicare più rispettosi dei valori dell’inclusività e della parità di genere, abolendo la predominanza dell’utilizzo del genere maschile con riferimento ai plurali di sostantivi e aggettivi riferiti a gruppi di soggetti misti.

Sulla storia dell’origine dello schwa ci sono versioni differenti: alcuni ritengono che l’etimologia risalga alla parola ebraica “shav” che significa niente, altri che sia legata al concetto di “uguale”, “pari”. Oggi lo schwa nella lingua ebraica è utilizzato per identificare i due puntini posti sotto una consonante che indicano una vocale brevissima che quasi non è pronunciata.

Esistono oggi delle alternative all’utilizzo dello schwa, per ovviare alla questione dei plurali maschili riferiti a gruppi misti di persone. Le proposte principali riguardano l’impiego dell’asterisco (*), che però presenta evidenti difficoltà di lettura (è infatti impossibile attribuire un suono a questo carattere grafico e i lettori automatici utilizzati dalle persone ipovedenti hanno difficoltà a interpretare questo simbolo), l’utilizzo della vocale “u” o della lettera “x” al fondo delle parole per cui l’aggettivo “belli” riferito a un gruppo misto diventerebbe rispettivamente “bellu” o “bellx”.

Uno dei temi a favore dell’impiego dello schwa è stato anche la sua somiglianza grafica a una forma intermedia tra la “a” e la “o”, vocali che tradizionalmente identificano il genere femminile e maschile.

Sarà questa l’evoluzione della nostra lingua?

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